martedì 29 dicembre 2015

Babbo Natale quantistico

Nikola from 1294.jpg
"Nikola from 1294" di Aleksa Petrov - http://www.belygorod.ru/img2/Ikona/Used/302ALEX1.jpg. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons -
Reblogged da scientificast.it

Renne disintegrate per attrito con l’atmosfera, velocità superluminari di consegna dei regali, energie necessarie superiori a quelle della fusione nucleare: tutto questo suggerisce che la descrizione Classica di Babbo Natale è inadeguata ed è necessario ricorrere a una trattazione Quantistica.
San Nicola (270 – 343) fu vescovo di Myra ed è venerato come santo sia dalla Chiesa Cattolica che Ortodossa. Varie vicende e miracoli lui attribuiti lo hanno fatto diventare santo patrono dei bambini. Questo, assieme all’iconografia statunitense legata – tra l’altro – alla poesia “A visit from St. Nicholas” (1823), ne hanno mutato nome e funzioni in Babbo Natale. Alla mia epoca era Gesù Bambino a portare i regali, ma indipendentemente dall’eventuale appalto dei lavori, velocità, mole e complessità del processo portano alla conclusione che la consegna dei doni avvenga tramite un processo quantomeccanico.
Nella meccanica quantistica lo stato di un sistema microscopico, per esempio lo spin o verso di rotazione di un elettrone libero, è indeterminato sino a che non lo misuriamo. Questo non vuol dire che sia a noi sconosciuto come quando non sappiamo se fuori piove o no finché non ci affacciamo dalla finestra, significa invece che è la somma di entrambe le possibilità, ovvero di entrambi i versi di rotazione (senso orario e antiorario): tutti e due gli stati e nessuno. Quando misuriamo lo stato della particella, il verso di rotazione sarà il 50% delle volte orario e il 50% delle volte antiorario.
Analogamente, sino alla famigerata mattina di Natale, sarà lo stato macroscopico e sovrapposizione del sistema con il regalo e senza regalo (la probabilità non è del 50% però). A meno che non abbiamo chiesto per Natale un fascio di particelle elementari abbiamo però a che fare con un sistema macroscopico (il regalo), proprio come nell’esperimento dell’ormai famosissimo gatto di Schrödinger (qui una spiegazione). Nell’esperimento del gatto, un sistema microscopico (per esempio lo stato quantistico di una particella) può influenzare un sistema macroscopico (il gatto nella scatola). Se la particella decade, il gatto muore, se la particella non decade il gatto non muore. Sino a che non viene effettuata una misura sulla particella il gatto è sia morto che vivo, ossia in uno stato di sovrapposizione di entrambi gli stati quantistici.
Nel caso dei regali di Natale la misura che determina lo stato macroscopico è il comportamento tenuto nelle settimane antecedenti al Natale: se ci si è comportati bene il decadimento favorito è quello della presenza del regalo, altrimenti niente regalo (nel caso della Befana Quantistica lo stato collassa in una massa di carbonio). Le proprietà della meccanica quantistica spiegano dunque la consegna istantanea dei regali, la conversione massa-energia dell’eventuale cibo lasciato per alimentare il processo.
San Nicola / Babbo Natale controlla la consegna ma senza doversi fisicamente spostare da nessuna parte. La complessità del processo suggerisce che abbia uno o più computer quantistici a sua disposizione.

venerdì 11 dicembre 2015

Cos'è la Forza



In omaggio a Konstantin Tsiolkovsky (1857-1935), padre dell'astronautica e dell'equazione del razzo (alle spalle della statua.



mercoledì 9 dicembre 2015

Cosa sono le onde gravitazionali

La grande onda (non gravitazionale)
di Kanagawa di Katsushita Hokusai.

Con il lancio di LISA-pathfinder la ricerca di onde gravitazionali muove i primi passi nello spazio.
Le onde gravitazionali sono l’ultimo  baluardo della forza di gravità, che resiste ancora ad ogni tentativo di rivelazione (qui il podcast sulle onde gravitazionali in cui Giuliana intervista il prof. Calloni dell’Università di Napoli)

Fu Newton a intuire per primo le caratteristiche della forza di gravità. Il filosofo del XVII secolo si rese conto che la forza che vincola la luna a orbitare attorno alla terra è la stessa che ci tiene ancorati al nostro pianeta. Tutti i corpi dotati di massa si attraggono tra loro, ipotizzò Newton, ma la forza di gravità è così debole che nell’esperienza quotidiana possiamo percepire solo l’attrazione terrestre.
La legge di gravitazione universale formulata da Newton nel 1687 è più che sufficiente a descrivere il moto dei pianeti nel sistema solare e rese possibile la scoperta del pianeta Nettuno – circa due secoli dopo (1846) – proprio a partire dalle perturbazioni causate da questo corpo celeste nell’orbita di Urano. Non è mai riuscita, però, a chiarire le anomalie dell’orbita di Mercurio, che è troppo vicino al Sole affinché la trattazione classica della gravità sia sufficiente a darne una spiegazione esauriente. (#stacce1)

venerdì 27 novembre 2015

Come funziona l’accelerometro dello smartphone

Diapositiva4
I moderni smartphone e tablet sono dotati di tre accelerometri, uno per ciascun asse, i quali permettono di determinare come viene mosso il nostro dispositivo. Molti giochi e applicazioni sfruttano questo strumento per farci pilotare aerei, astronavi e pupazzetti, ma vi sono anche programmi  gratuiti che permettono di visualizzare i dati e salvarli su file di testo. Con essi è possibile riscoprire e verificare fenomeni fisici che vanno dalla meccanica classica alla relatività generale.

Ormai prodotti in miliardi di esemplari, gli accelerometri fanno parte della famiglia dei MEMS, Sistemi micro-elettro-meccanici (Micro ElectroMechanical Systems) o micromacchine. Si tratta di strumenti e meccanismi (ingranaggi, leve, bilance, interruttori) in silicio delle dimensioni di frazioni di millimetro opportunamente sagomati e litografati con tecniche analoghe a quelle con cui si realizzano i chip dei computer.
smart3figs
Alto: La massa è al centro delle armature dell’accelerometro nello smartphone. Centro: se sposto lo smartphone la massa centrale rimane fissa al suo posto e sembra muoversi rispoetto al cellulare. Basso: se le armature sono cariche registo un segnale elettrico



In Figura è  mostrato lo schema di funzionamento di un accelerometro MEMS: questo è composto da una parte centrale libera di muoversi e collegata con delle molle a quella esterna, fissa e solidale con lo smartphone. Quando agitiamo il telefono la parte esterna  si muove rispetto a quella centrale che rimane ferma, non essendo soggetta a forze e praticamente sconnessa dal resto del telefono .  Caricando elettricamente queste due parti  abbiamo a disposizione un microscopico condensatore per generare  un segnale elettrico in grado di essere registrato dal processore dello smartphone. Il condensatore, misurando di quanto  la molla viene compressa o allungata misura l’accelerazione del sistema.
Se appoggiamo il cellulare sul tavolo  possiamo  misurare l’accelerazione di gravità, diretta verso il basso lungo l’asse z. Dovrebbe valere 9.8 m/s2  (1g), anche se il nostro strumento misura circa 9.6 e non 9.8 m/s2, il che significa che non è tarato perfettamente. Se facciamo vibrare il tavolo o agitiamo il cellulare  l’accelerometro registra questo segnale.  

Se appoggiamo il cellulare sul pavimento dell’ascensore possiamo misurare come la forza apparente di gravità aumenti quando l’ascensore inizia a salire e diminuisca quando rallenta per fermarsi. In entrambi i casi sia noi che il cellulare risentiamo  di una forza aggiuntiva, o apparente, dovuta al fatto che, in virtù della prima legge di Newton, tendiamo a permanere nel nostro stato di quiete (alla partenza) o di moto (all’arrivo). Le accelerazioni misurate sono molto piccole (0.5 m/s2 o circa 5% g) ma percepibili. Su questa semplice esperienza  si basano sia  la meccanica classica a partire da Galileo e Newton che quella relativistica formulata da Einstein.  Ma  ci occuperemo di questo in un prossimo post.

L'accelerazione misurata dallo smartphone nell'ascensore.
L’accelerazione misurata dallo smartphone nell’ascensore.

(reblogged da scientificast)


giovedì 19 novembre 2015

NO. Il warp drive non esiste.

NO. Il warp drive non esiste.

E rieccoci qui con il motore ad improbabilità infinita, che però non è quello della  Guida Galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, ma la solita bufala dell’EM drive di Eagleworks e company.
Ne abbiamo parlato più volte in passato e ormai l’unica cosa affascinante è come queste assurde  affermazioni senza alcuna verifica sperimentale trovino ampio spazio nella stampa online anche seria.

L’EM drive è un motore definito “impossibile” dai loro stessi creatori e di cui:
  1. Non è stato mai pubblicato un articolo scientifico,  preprint o pubblicazione che descriva come funzioni, o quanto meno abbia misurato una reale spinta.
  2. Non è stato mai rilasciato brevetto (che giustificherebbe la segretezza che invece cela la fuffa).
  3. Le notizie usano il nome “NASA” in maniera volutamente ambigua a far credere che la NASA sia dietro a questa cosa. L’agenzia spaziale statunitense ha recentemente mollato  l’ambiguo esperimento, cautelando anche i lettori e i ricercatori dall’abuso di termini che traggono volutamente in inganno (vedi anche questo articolo su space.com).  Ad esempio qui tutta la notizia è che i (non) creatori dell’EM drive abbiano postato sul forum “NASAspaceflight”, un forum frequentato da gente esperta (che infatti li sta facendo a pezzi), ma certo non ufficiale della NASA. Qui un articolo di Forbes che li fa letteralmente a pezzi.
  4. Il technobabble alla Star Trek abbonda: Warp drive, dinamica non newtoniana ecc.

A questo punto anche io chiedo finanziamenti per il mio motore gravitazionale di nuova concezione: è già completo al 50% e in discesa funziona perfettamente.
(reblogged da scientificast

mercoledì 11 novembre 2015

Le equazioni della luce: Il corpo nero di Planck

Parte 2: Il Corpo nero di Planck



(questo post  è apparso su sito del disf, Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede nell'ambito su una serie di articoli su "La luce e la filosofia della scienza", per l'anno internazionale della luce)

Gli anni di passaggio tra il XIX e XX secolo furono testimoni anche dei primi cedimenti della teoria classica con una descrizione puramente meccanicistica della luce e della materia.
Nel caso della luce, gli studiosi del tempo notarono una forte discrepanza tra predizioni teoriche e dati sperimentali: questa differenza era particolarmente evidenti alle alte frequenze, dall’ultravioletto in poi, per cui il fisico Paul Ehrenfest la chiamò catastrofe dell’ultravioletto. Se si cercava, infatti, di derivare lo spettro delle emissioni luminose di un corpo ad alta temperatura si giungeva al paradossale risultato che l’emissione luminosa diventava infinita in prossimità dell’ultravioletto.
La derivazione dello spettro corretto della radiazione fu dovuta a Planck e alla sua assunzione che non sia possibile emettere ed assorbire quantità arbitrarie di luce, ma solo quantità discrete, “quantizzate” in pacchetti d’onda indivisibili. Questa ipotesi, apparentemente assurda ma in accordo con le misure sperimentali, fu una delle basi fondamentali della nascente meccanica quantistica.
La luce, e quindi l’onda elettromagnetica, poteva e doveva essere considerata come una serie di particelle dette fotoni. L’energia associata a ciascun fotone era proporzionale alla sua frequenza. La costante che regola questa proporzionalità prende il nome di costante di Planck ed è una delle constanti fondamentali dell’universo.
L’equazione della luce di Planck ha il nome apparentemente paradossale di equazione di corpo nero. Il termine può trarre in inganno: un corpo nero è un oggetto che emette ed assorbe la luce in ugual misura, restando in equilibrio termico con l’ambiente. Maggiore è la temperatura a cui si trova l’oggetto, maggiori sono la frequenza e l’intensità della luce emessa. La brace del fuoco appare quindi rossastra a temperature più basse e diventa bianca (sommando alla luce rossa quelle blu e verde) quando si superano i 1000 gradi Celsius. Per questo motivo nell’oscurità della notte siamo visibili alle telecamere infrarosse, costruite per captare specificatamente queste frequenze.
Anche il sole emette luce, come un corpo nero, a 6000 gradi la temperatura della sua superficie. Come accennavamo prima, i nostri occhi, in milioni di anni di evoluzione, si sono sviluppati per essere maggiormente sensibili proprio a queste frequenze. In questa maniera l’uomo e gli animali (in diversa misura e sensibilità) sono in grado di percepire i colori degli oggetti che assorbono e riemettono la luce solare.
Le altre stelle possono apparire maggiormente rosse, blu o bianche a seconda della loro temperatura superficiale. Ad occhio nudo possiamo distinguere il colore solo delle più brillanti, ovvero delle giganti rosse come Betelgeuse ed Aldebaran, ma basta fare una foto del cielo con qualche secondo di esposizione per rendersi conto della miriade di colori delle stelle del firmamento.


parte 2 di 3
qui la parte 1

lunedì 9 novembre 2015

Le equazioni della luce: le tre tappe fondamentali firmate Maxwell, Planck ed Einstein

Parte 1: Le equazioni di Maxwell


(questo post  è apparso su sito del disf, Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede nell'ambito su una serie di articoli su "La luce e la filosofia della scienza", per l'anno internazionale della luce)


Pur essendo la luce uno dei mezzi principali con cui percepiamo ed investighiamo il mondo che ci circonda, una comprensione della sua reale natura e dei fenomeni ad essa connessi  è stata possibile solo con i progressi compiuti tra il XIX e XX secolo.

Figura 1. Il campo magnetico generato da una calamita. Il carattere dipolare delle linee di forza è evidenziato dalla limatura di ferro che è attratta da esso.  
 
Un primo grande passo fu la descrizione unificata di elettricità e magnetismo, noti – ma considerati distinti – da migliaia di anni: sfregando due panni di tessuti diversi questi si caricano di cariche elettriche uguali ed opposte che generano un campo elettrico. Analogamente una calamita genera un campo magnetico[1], con poli diversi che si attraggono e uguali che si respingono (Figura 1).  
Realizzando i primi circuiti elettrici si notò che un filo percorso da corrente, quindi da cariche elettriche in movimento, genera un campo magnetico (Oersted, 1820); analogamente un campo magnetico deflette la traiettoria di una carica elettrica (Forza di Lorentz, ma derivata per primo da Oliver Heaviside nel 1889).
Questi indizi mostrarono come ci dovesse essere una relazione tra cariche elettriche e campi magnetici. Si trattava comunque di casi stazionari, e quindi non dipendenti dal tempo, che non consentivano di apprezzare l'intima connessione tra i due fenomeni, investigata inizialmente da Faraday. Nel 1831, infatti, Faraday osservò che, ponendo un circuito elettrico in un campo magnetico e aumentando o diminuendo l’intensità del campo, si generava nel circuito una corrente elettrica: la variazione di campo magnetico generava un campo elettrico che faceva muoveva le cariche nel circuito.


 


Figura 2. Il campo elettromagnetico (matrice Fμν) è rappresentato, in questo caso, da un cono a base circolare. Le sue "ombre" possono apparirci molto diverse a seconda della prospettiva Nel caso 1. come un triangolo (campo elettrico) mentre nel caso 2. come un'ellisse (campo magnetico), ma sono solo aspetti differenti dello stesso fenomeno.  
 
Successivamente Maxwell notò come variazioni di campo elettrico generavano un campo magnetico e riportò i suoi risultati in un lavoro del 1861, On physical lines of force. In questo fondamentale articolo sono presenti le quattro equazioni del campo elettromagnetico che poi prenderanno il suo nome. Esse racchiudono tutte le proprietà dei fenomeni elettrici e magnetici e ne forniscono una trattazione valida ancora oggi.
L'unificazione dei campi elettrici e magnetici in una sola teoria fu un enorme balzo in avanti concettuale. Tramite le equazioni di Maxwell è stato possibile progredire da una visione di ombre bidimensionali, rappresentate dai distinti campi elettrici e magnetici, alla comprensione del reale oggetto tridimensionale: il campo elettromagnetico (Figura 2). Ciò ha consentito di passare da un uso limitato a calamite e cariche elettrostatiche al mondo moderno, i cui progressi tecnologici sono quasi esclusivamente basati sull'eredità lasciataci da Maxwell ed i suoi colleghi.
Generatori di corrente alternata, linee di trasmissione elettrica, trasformatori e motori funzionano, basandosi su queste equazioni, con campi elettrici che variano lentamente nel tempo (ad esempio la corrente di casa è alternata a 50 Hertz, ossia oscilla 50 volte in un secondo).
 


Figura 3. Schema di un'onda elettromagnetica  
 
Nel 1865 Maxwell dimostrò, inoltre, che – a partire dalle ”sue” equazioni – era possibile ricavare l’equazione delle onde. Questa equazione si applica a qualunque tipo di fenomeno oscillante ed è quindi la stessa che descrive la propagazione delle onde acustiche, sismiche o marine. Mentre il suono è un’onda di compressione dell’aria lungo la direzione di propagazione, nelle onde elettromagnetiche ad oscillare sono i campi elettrici e magnetici, in un alternarsi periodico e sincrono. Il campo magnetico è sempre ortogonale al campo elettrico ed entrambi sono perpendicolari alla direzione di propagazione dell’onda. Le proprietà sono definite solo dalla lunghezza dell'onda elettromagnetica, ossia la distanza che l’onda percorre – a 300.000 km al secondo – mentre il campo compie una completa oscillazione (Figura 3).
Alternativamente si può usare la frequenza, il numero di oscillazioni al secondo compiute dai campi elettrici e magnetici (la lunghezza d'onda è pari alla velocità della luce diviso la frequenza). Ad esempio, le onde della radio hanno lunghezze d’onda pari a centinaia di metri (o frequenze di MHz) mentre i raggi gamma più intensi possono avere lunghezze d’onda inferiori al nucleo atomico (10-12 m, con frequenze di 1020Hz).
Maxwell e le successive misure sperimentali di Hertz confermarono che la luce visibile altro non era che un’onda elettromagnetica dove, a ciò che noi percepiamo come colori diversi, in realtà corrispondono lunghezze d'onda diverse[2].
 


Figura 4. La luce solare bianca scomposta da un prisma nei colori fondamentali.  
 
La luce visibile occupa comunque un intervallo ristrettissimo dello spettro delle onde elettromagnetiche (e.m.): tra 0.39 micrometri (rosso) e 0.7 micrometri (blu-violetto) (Figura 4). Il motivo per cui i nostri occhi si sono evoluti per ricevere queste onde non è casuale: è infatti legato al picco delle emissioni della radiazione solare, descritte da un’altra fondamentale equazione della luce, derivata da Planck.
Se l’equazione che descrive la propagazione delle onde e.m. è simile a quella delle onde sonore, marine o sismiche, vi è comunque una fondamentale differenza: un’onda e.m. è in grado di diffondersi liberamente nel vuoto senza la necessità di alcun mezzo che invece – per analogia alle onde meccaniche – si supponeva fosse indispensabile alla sua propagazione. Il problema dell’etere, immaginario supporto per le onde e.m., rimase in sospeso sino all'esperimento di Michelson–Morley del 1887.
La descrizione dell'elettromagnetismo fornita dalle equazioni di Maxwell ha anche il pregio di essere compatibile con la teoria della Relatività speciale[3]. Lorentz derivò infatti le sue trasformazioni di coordinate – alla base della successiva teoria di Einstein – proprio imponendo che dovessero lasciare immutate le equazioni di Maxwell.
Un'altro cruciale lascito delle equazioni di Maxwell è quello dell'unificazione di fenomeni e forze fondamentali della natura, alla base di tutte le ricerche di fisica fondamentale del XX e XXI secolo: la forza elettromagnetica è stata ulteriormente combinata con quella nucleare debole in una teoria ancora più generale. Gli sforzi per associare anche la forza nucleare forte e gravitazionale costituiscono una delle più ambite frontiere della ricerca della fisica moderna.



Note

[1] Il termine magnete deriva dalla città greca (ora presso Smirne, in Turchia) di Magnesia ad Sipylum dove, per la prima volta, fu rinvenuto il minerale di magnetite che esibiva queste proprietà.
[2] L’uso dei prismi aveva già permesso a Newton di mostrare come la luce bianca non fosse altro che la somma di tanti colori diversi. Questi colori furono chiamati fondamentali perché, ad un successivo passaggio nel prisma, non venivano ulteriormente scissi.
[3] È l'invarianza di questi fenomeni a confermarci che elettricità e magnetismo sono la stessa cosa. Infatti, sappiamo che una carica elettrica stazionaria genera un campo elettrico ed una in movimento genera un campo magnetico. Se quindi prendiamo un filo con una carica elettrostatica percepiamo un campo elettrico. Se invece iniziamo a muoverci rispetto al filo, la carica elettrica sarà in movimento rispetto a noi e misureremo un campo magnetico (Figura 5a e 5b). 
 


Figura 5a. Un filo con una carica elettrostatica genera un campo elettrico con linee di forza radiali  

 

Figura 5b. Se ci muoviamo rispetto al filo non percepiamo più una carica costante ma una corrente e dunque un campo magnetico con linee di forza circolari. 

mercoledì 4 novembre 2015

venerdì 30 ottobre 2015

Il Vaccino

foto di Uwe H. Friese, Bremerhaven 2003
"Betta scusa, fammi capire, quindi Lucia non è ancora vaccinata?”, chiese la ragazza.
Elisabetta scosse il capo dicendo ”No di certo, sorellina. Non voglio mica farla diventare autistica”.
°I vaccini sono il male”, disse un’altra ragazza, Marta o Maria o qualcosa del genere.
“Sono stati creati dalle multinazionali per fare i soldi”, aggiunse una bionda mentre le altre annuivano.

lunedì 26 ottobre 2015

Sergio Leone's lectures on Quantum Mechanics

Teorema di Sergio Leone sulle espressioni di Clint Eastwood.
Se sembra uguale a questa qui, è perché sia Verdone che Brega hanno studiato meccanica quantistica con il Prof. Leone
[frames prese da Per Qualche dollaro in più, cropped ma niente photoshop]

giovedì 22 ottobre 2015

Kepler 8462852: 'It's too big to be a space station' (ma troppo piccolo per essere una sfera di Dyson).



'It's too big to be a space station' (ma troppo piccolo per essere una sfera di Dyson).
 Kepler  KIC 8462852 (in verde, pannello in basso a sinistra) è grande quanto una stella, ma microsopica (il pixel rosso in basso a destra) rispetto ad una sfera di Dyson il cui raggio è pari all’orbita terrestre. In alto a sinistra alcune note stazioni da battaglia  confrontate con la  Luna e la Terra.



(reblogged da scientificast:  http://www.scientificast.it/2015/10/19/kepler-8462852-non-alieni-e-non-sfere-di-dyson/ )


Il satellite Kepler è impiegato per la ricerca e l’osservazione di pianeti extrasolari. Il suo metodo di rivelazione principale si basa sulla variazione della luce delle stelle. Quando un pianeta passa tra noi e la stella ne oscura, in parte minima ma apprezzabile, la luce. Più grande il pianeta, più la luce della stella diventa fioca. 
Inoltre, dalla  durata e dalla periodicità di questa micro-eclisse, si può anche risalire – tramite le leggi di Keplero – sia all’orbita del pianeta che alla forma del sistema stellare.
Fino ad ora Kepler ha scoperto parecchie centinaia di pianeti, dai più grandi giganti gassosi come Giove e Saturno ai più piccoli rocciosi come la super terra di qualche tempo fa. Queste informazioni ci hanno permesso di comprendere meglio i meccanismi di formazione ed evoluzione non solo degli altri sistemi solari ma anche del nostro.
Kepler 8462852 e la sua stella binaria osservate dal telescopio di terra Keck II (da qui).

Kepler 8462852 e la sua stella binaria osservate dal telescopio di terra Keck II (da qui).



L’abbassamento di luminosità di KIC 8462852 quando l’oggetto gli transita davanti. In realtà vi sono molti offuscamenti di intensità variabile che fanno pensare a più oggetti di dimensioni variabili.
L’abbassamento di luminosità di KIC 8462852 quando l’oggetto gli transita davanti. In realtà vi sono molti offuscamenti di intensità variabile che fanno pensare a più oggetti di dimensioni variabili.

In questi giorni è stato dato grande risalto alla notizia della (vecchia) rilevazione di un’anomalia nelle osservazioni di un particolare sistema, KIC 8462852, una delle stelle nella costellazione del Cigno, a circa 1500 anni luce da noi.
In questo sistema sono statiè stato, infatti, scopertio più “oggetti” che – con periodicità che vanno dai 20 agli 80 giorni – oscurano la luce della propria stella anche del 20%. Si tratta di un abbassamento di luminosità sconcertante se si pensa che un pianeta gassoso, tipo Giove, ne abbasserebbe la luminosità solo dell’1%. Inoltre le variazioni di luminosità sono molteplici e di varia intensità, facendo pensare che gli oggetti siano molti e di diverse dimensioni.
Escluso l’errore strumentale, un preprint analizza le varie possibilità dell’origine di questa anomalia: protonube planetaria o sciami di comete.
L’ipotesi più divertente, ma anche la più improbabile, è che si tratti di un artefatto alieno. Purtroppo questa ipotesi è da escludersi proprio per le immense dimensioni dell’oggetto che, come dicevamo, è almeno 20 volte più grande di Giove.

Tra le ipotesi che sono state avanzate c’è quella della sfera di Dyson, ma anche questa possibilità va purtroppo esclusa, almeno nella formulazione originale. Il geniale scienziato Freeman Dyson, che prese parte sia al progetto Manhattan, sia che al progetto Orione per la realizzazione di astronavi a propulsione nucleare, ipotizzò che civiltà estremamente avanzate potessero catturare tutta la luce della loro stella costruendo una immensa sfera del raggio di centinaia di milioni di chilometri km. La sfera potrebbe ruotare su se stessa generando così, per forza centrifuga, una gravità apparente. Le risorse e la tecnologia necessaria per costruire un tale oggetto sono, per noi, oltre l’impensabile, ma non per questo possono essere escluse a priori.
Purtroppo, paradossalmente, l’oggetto osservato in KIC 8462852 non può essere una Sfera di Dyson “classica” perché è troppo piccola: una sfera completa dovrebbe racchiudere l’intera stella e quindi sarebbe completamente invisibile alla rivelazione di Kepler.
Una sfera incompleta non potrebbe avere quell’orbita, dal momento che la velocità orbitale e quella di rotazione sono molto diverse. Per creare – tramite  forza centrifuga – la stessa gravità che abbiamo sulla terra, la velocità di rotazione di una sfera di Dyson (posta idealmente in orbita terreste) dovrebbe essere quaranta volte più alta di quella orbitale [vedi sotto le formule pizzose]
Anche l’ipotesi che si tratti di una sfera di Dyson posta attorno ad una seconda stella è improbabile perché, in questo caso, sarebbe la seconda stella  ad essere troppo piccola (a meno che non si tratti di un buco nero!).  In questo articolo è riportata una casistica di possibili oggetti astronomici ed anche artificiali.
In ogni caso questa  rilevazione è estremamente importante perché mette in evidenza l’esistenza di corpi celesti la cui distribuzione e struttura sono ancora sconosciuti.
Inoltre la possibilità di rivelare civiltà aliene non è ancora del tutto esclusa: molti ricercatori hanno suggerito di puntare i radiotelescopi in quella direzione per cercare segnali alieni. Anche in assenza di questo segnale,  uno dei successori potrà cercare la presenza di forme di vita extraterrestre osservando la composizione dell’atmosfera e rivelando la presenza di gas di origine artificiale.
Formule pizzose (usando guarda caso le leggi di Keplero):




Rt è il raggio terrestre Mt è la massa terrestre (dato che richiediamo 9.8m/s^2)
Rt è il raggio terrestre Mt è la massa terrestre (dato che richiediamo 9.8m/s^2)

martedì 13 ottobre 2015

Corso di Fisica presso Università Uninettuno


In questi giorni il canale satellitare dell'Università Telematica Uninettuno (812 su sky oppure qui) ha incominciato a trasmettere alle ore 17:00  le lezioni del corso di Fisica per la facoltà di Ingegneria. Le 50 lezioni - registrate  in circa 24 mesi presso gli studi dell'università - coprono la fisica classica, meccanica, termodinamica, elettromagnetismo ed ottica.

 Dati i vincoli imposti dal mezzo televisivo e l'uso delle slides è stato necessario focalizzarsi sulla descrizione dei fenomeni tralasciando la maggior parte dei  calcoli e delle dimostrazioni che di solito sono alla base dei corsi "alla lavagna".


In compenso è stata una buona occasione per effettuare molti esperimenti (la maggior parte dei quali  distruttivi) in studio o  a casa e poi inserirli  nelle lezioni.  Cercherò di riproporre alcuni di questi nei prossimi post del blog.


mercoledì 30 settembre 2015

sabato 26 settembre 2015

Fotografare l'eclissi di Super-Luna di domenica prossima

 Eclissi di Luna, Canon powershot sx30IS, ISO 800 1/2s massimo zoom (150mm) F/5.78
(questo post è apparso qui su scientificast)

Nella notte tra il 27 e il 28 settembre si verificherà una eclissi di Luna proprio quando il nostro satellite si troverà al perigeo che è il suo punto di massima vicinanza alla Terra.
La luna piena al perigeo (distanza 363104 km) risulta del 13% più grande rispetto a quella dell’apogeo (d=405696 km) e, dal momento che la luminosità aumentacon il quadrato della distanza, essa dovrebbe apparire di circa il 30% più luminosa.

Confronto tra la luna al massimo ed al minimo avvicinamento nel 2013
Confronto tra la luna al massimo ed al minimo avvicinamento nel 2013

Eclissi
In un post precedente  avevamo parlato di come fotografare la cometa Lovejoy. La Luna è un soggetto molto più semplice ed è possibile catturarla anche solo con la macchina fotografica in mano e scattando in automatico. Per seguire meglio il movimento della luna, che peraltro in Italia sarà bassa sull'orizzonte, è però preferibile utilizzare un treppiedi e:
1) fissare a mano il fuoco (all’infinito)
2) l’apertura (non necessariamente al massimo, f/8)
3) l’esposizione (che varia a seconda delle lenti e soprattutto dello zoom). L'ideale è fare molte prove, tenendo conto che a luminosità della luna diminuisce molto durante l'eclissi ed è difficile prevedere a priori la posa ideale. La luna piena può essere fotografata anche ad 1/100 di secondo ma le foto dell'eclissi del 2011 mostrate qui sono state fatte ad 1/2 s ed iso 800.  È quindi preferibile provare con varie esposizioni: le macchine digitali permettono di scattare tre foto ad esposizioni diverse (normale, sovraesposta e sottoesposta) in maniera da poter scegliere a posteriori la sequenza migliore.

Dimensioni
Se fotografiamo la luna in condizioni di massimo avvicinamento e allontanamento possiamo poi confrontare le immagini e renderci conto dell’effettiva differenza. In foto è mostrato il confronto tra la luna al massimo avvicinamento nel 2013.

Calibrazione
La Luna è inoltre  un ottimo soggetto per calibrare la nostra macchina fotografica. Infatti la sua distanza dalla  Terra è nota e tabulata  qui giorno per giorno. Il suo diametro è 3475 km.
Sia che la macchina sia una reflex o una compatta le lenti dovrebbero avere uno zoom variabile (usate solo lo zoom ottico, quello digitale è completamente inutile dato che ”inventa” i pixel aggiuntivi). Se è una compatta lo zoom è indicato di solito in termini di ingrandimenti rispetto allo zoom minimo, mentre nelle reflex è indicato in termini di mm di lunghezza focale. In entrambi i casi lo zoom è comunque registrato nelle informazioni aggiuntive (exif) della foto.
Le dimensioni della luna in pixel al crescere dello zoom (lunghezza focale)
Le dimensioni della luna in pixel al crescere dello zoom (lunghezza focale)
Per ciascuno zoom possiamo quindi misurare il numero di pixel occupato dalla luna e risalire alla risoluzione spaziale ed angolare della macchina (le formule per il calcolo sono alla fine dell’articolo). Come ulteriore esercizio è possibile tracciare il grafico della risoluzione in funzione dello zoom per una data lente e verificare quanto essa è precisa. Armati di questi dati possiamo rivolgerci agli altri pianeti, come vedremo su un prossimo post.

FORMULE PIZZOSE:

Diametro Luna: D=3475 km
Distanza Luna: R (distanza media 384000 km)
Diametro Luna nella macchina fotografica: d pixel
Risoluzione Spaziale della macchina per la superficie lunare:
S= D/d km per pixel
Risoluzione Angolare della macchina (valido a zoom fissato anche per osservazioni terrestri):
A=D/(d*R)
La luna ha un diametro angolare di circa mezzo grado (31 minuti d’arco), ossia ”mezzo pollice”. Infatti, se tendiamo il braccio davanti a noi, un pollice corrisponde a circa un grado e un pugno a circa 10 gradi. Nel caso della powershot utilizzata abbiamo quindi una risoluzione di 1/100 di grado per pixel in modalità panoramica (75*56 gradi di campo di vista totale) e 5 decimillesimi di grado per pixel al massimo zoom (2.3*1.8 gradi di campo di vista totale).